Dal Comparto 32 a prospettive di futuro per la comunità
Legambiente offre un nuovo contributo al processo di redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale di Taranto, con un documento, disponibile sul sito dell’associazione www.legambientetaranto.it, di cui riportiamo una sintesi.
Le nostre città soffrono di sindromi ben note, ossia tendono a fuggire da se stesse e dai propri problemi. Ne sono conseguenza le ”città ciambella”, in cui si associa l’espansione periferica con lo svuotamento o la sostituzione delle destinazioni d’uso delle parti centrali, così come la tendenza ad invadere gli spazi rurali, esterni all’urbanizzato, che presentino caratteristiche di scenograficità naturale, con la conseguenza di una diminuzione del valore paesaggistico e naturale connaturato a queste aree di pregio. Esiste una forte pressione di alcuni settori economici verso questa tendenza, caratterizzata da semplicità attuativa e massimizzazione del profitto cui corrisponde, però, specularmente, una diminuzione del valore intrinseco dei luoghi per la comunità, così come una diminuzione del valore degli stessi beni di comunità.
Il coinvolgimento della comunità
Questa tensione tra interesse privato ed interesse di comunità costituisce in realtà il motore di un buon piano urbanistico-territoriale che, nella sua declinazione più auspicabile, riesce a indirizzare la forza economica e tecnica degli imprenditori economici verso un aumento di valore delle aree degradate, piuttosto che verso una perdita di valore delle aree a maggior pregio. Presupposto indispensabile è il coinvolgimento della comunità nella preventiva individuazione dei beni rilevanti ed insostituibili del proprio territorio, tanto di natura puntuale quanto diffusi ed immateriali. Sono, anzi, proprio queste dimensioni dei beni di comunità, ossia i beni caratterizzati come diffusi, immateriali, non sostituibili ad essere al centro del dibattito internazionale come frontiera della sostenibilità degli interventi sul territorio. Questi beni di comunità hanno pertanto la necessità di essere identificati e riconosciuti al fine di includerli in maniera appropriata nelle scelte di pianificazione, inserendo la loro gestione come priorità a tutela delle future generazioni.
La vicenda del Comparto 32
A tale riguardo la vicenda del Comparto 32 di Taranto è emblematica sotto più di un aspetto. È evidente che per la sua posizione, contigua ad un bene naturalistico paesaggistico rilevante come la Pineta Cimino e con potenziale intervisibilità del Mar Piccolo, esso costituisca un polo attrattivo di estremo interesse per i capitali privati. Altrettanto evidentemente, considerando il valore di questo paesaggio come bene di comunità, risulta estremamente rilevante per la comunità tarantina; una sua forte edificazione potrebbe senz’altro ridurre alcuni parametri di valore percettivo: è ben diverso immaginare la Pineta Cimino immersa in un tessuto urbanizzato, piuttosto che inserita, come elemento di spicco, in continuità con una fascia di paesaggio agricolo-costiero come nella condizione attuale. Ma la lettura della sua complessità paesaggistica non si può limitare a questo, dato che è necessario considerare anche la relazione tra un’area e gli ambiti eco-paesaggistici in cui è inserita; il Comparto 32 si situa infatti al limite della “Palude Erbara”, un sito umido di notevole importanza per la sua funzione di raccordo tra le aree palustri della Salinella e Salina Grande e quelle vicine, tra le quali spicca il sito di Palude la Vela, inserite nel Parco Naturale Regionale “Mar Piccolo”. Si tratta di una serie di siti ad alta valenza naturalistica che si raccordano a formare una vera e propria cintura verde-blu, essenziale in una politica strategica di valorizzazione dei paesaggi tarantini, con un valore che è tanto di sostenibilità quanto di marketing territoriale. Come è ben noto, nel mezzo di questo crogiolo di valori territoriali e paesaggistici si situa anche il classico pugno nell’occhio, nella forma di un vasto centro commerciale, progettato e realizzato senza una valutazione di contesto. Va quindi considerata, in sede pianificatoria, la presenza di questo intruso nel paesaggio, programmando possibilità di trasformazione che siano indirizzate a mitigarne gli impatti attuali – cosa profondamente diversa dal pensare che la presenza dell’incongruenza possa trovare soluzione aggravando gli impatti già esistenti. Ne deriva la necessità di eventuali ipotesi d’uso caratterizzate dalla predominanza di elementi naturali, limitata artificializzazione delle superfici, limitata volumetria e, quale elemento della più rilevante importanza, forti limitazioni nell’altezza di eventuali edifici, che non dovrebbero superare i 10-12 metri dal livello del suolo.
Si tratta di limitazioni che potrebbero essere compatibili con radi edifici destinati all’istruzione e centri socio-culturali, lasciando ampie superfici a verde fruibile, limitazioni ben diverse da quanto previsto dal vigente PRG per le zone C8 direzionali, che prevede un alto indice di fabbricabilità e un’altezza degli edifici che può arrivare a 48 metri. Sia pure in maniera estremamente semplificata, quanto detto basta ad inquadrare il luogo nella sua tensione tra previsioni urbanistiche del vecchio PRG, valore intrinseco come bene di comunità ed appetibilità rispetto agli investitori privati. Ma l’emblematicità delle vicende relative al Comparto 32 attiene anche alla relazione tra sfera politica, conoscenza diffusa e conoscenza esperta. In generale, l’integrazione tra il punto di vista politico e la conoscenza tecnico-esperta è stato un processo indispensabile, volto a ridurre il rischio potenziale legato a decisioni non sufficientemente circostanziate che, nell’ignorare aspetti rilevanti del territorio, potessero tradursi in insuccessi funzionali con conseguenze poste a carico dell’intera comunità.
L’esperienza evidenzia inoltre come i piani e progetti che trovano origine in percorsi di coinvolgimento dei cittadini finiscano per connotarsi per il maggior tasso di successo, sia in termini di qualità progettuale, che di raggiungimento di obiettivi. Ciò avviene perché i cittadini sono portatori di un livello di conoscenza “sfuggente”, che trova origine nella quotidianità delle relazioni con i luoghi, una conoscenza di tale importanza da essere divenuta uno dei cardini della Convenzione Europea del Paesaggio, quando questa definisce il paesaggio, “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni”. Il caso del comparto 32 presenta in questo ambito diverse anomalie, in quanto non solo il coinvolgimento co-pianificatorio della cittadinanza è stato trascurato, ma analogo destino è toccato al sapere tecnico-esperto, rappresentato da importanti contributi presentati dall’Ordine degli Architetti e Pianificatori e da illustri Docenti Universitari del Politecnico, che hanno posto l’attenzione sulla delicatezza ed importanza del contesto in cui il Comparto 32 è inserito, tanto in termini paesaggistici che ecologici e sociali.
L’anomalia è giunta fino al punto di stigmatizzare anche elementi della discussione che, chiaramente, non potevano assolutamente essere tralasciati, come il consumo di suolo. Diversamente, l’evitare il più possibile l’uso di risorse non sostituibili che comprendono il suolo, il paesaggio, la continuità delle reti ecologiche, il rimediare agli errori del passato, le ipotesi legate alla necessità della cittadinanza, dovrebbero tutte essere variabili da inserire in una matrice di valutazione delle alternative, certamente indirizzata al recupero funzionale del margine urbano, ma rimanendo consapevoli che non tutte le ricuciture sono di per sé interventi positivi, dato che, in modo analogo al rammendo di un vestito, occorre che i nuovi fili si inseriscano positivamente nella trama esistente, che in questo caso non è solo quella urbana, ma anche quella paesaggistica, ecologica e socio-culturale. Rispetto ai problemi ed ai bisogni della popolazione, solo dopo che il dibattito politico si è infiammato, è stata ventilata l’ipotesi dell’individuazione delle necessità dei quartieri urbani contigui al comparto, quando invece questo sarebbe dovuto essere una base preliminare di conoscenza da porre a monte della discussione e di qualsiasi successiva decisione. Infine un altro dato anomalo è costituito dal giustificare le ipotesi di piano con le necessità legate al nuovo ospedale San Cataldo. Come è stato immediatamente osservato negli interventi tecnico-esperti, il nuovo ospedale sorgerà in un diverso comparto, ad una notevole distanza dal comparto 32.
Tale distanza pone chiaramente la possibilità di scelta tra alternative diverse, rispetto alle esigenze accessorie ad esso legate che andrebbero in primo luogo identificate e quantificate, tenuto conto che, data la posizione esterna al margine urbano, la tematica del ridurre al minimo il consumo di risorse non rinnovabili deve essere sempre posta al centro di ogni discussione, tanto più quanto l’area del nuovo ospedale già contiene, nelle sue previsioni urbanistiche, le dotazioni in uffici, servizi e foresterie necessarie alla sua piena funzionalità. In ambito tecnico, decisioni di questo genere richiedono, una volta definite le reali necessità, un confronto tra possibili alternative, con definizione partecipata tanto dei criteri da utilizzare per il confronto stesso, quanto del peso da dare ad ogni criterio.
Come procedere per la redazione del nuovo Pug
Concludendo, in sintesi indichiamo di seguito il modo di procedere che consideriamo necessario per la redazione del nuovo Pug: 1. considerare esigenze reali, attuali e dimostrabili (non ipotetiche e future), partendo, come sottolineato dalle metodiche di analisi e progettazione (GOPP, problem solving) dal definire i problemi, che sono sempre attuali e visibili a tutti, piuttosto che da bisogni, dato che questi ultimi nascondono spesso soluzioni mascherate che limitano le possibilità di discussione; 2. identificare i beni di comunità, sia puntuali che diffusi, che dovrebbero essere tutelati nel corso delle trasformazioni del territorio, facendo particolare attenzione a quelli non sostituibili; 3. individuare, a livello territoriale (quindi, operativamente, mappandoli in ambiente GIS), le possibili alternative; 4. identificare i criteri di scelta tra le alternative e dare loro un peso in modo partecipato; 5. esprimere l’ipotesi di decisione in modo trasparente, basandosi sui punti precedentemente evidenziati, e lasciando comunque un lasso di tempo per raccogliere eventuali ulteriori osservazioni ed interventi da parte di ulteriori soggetti interessati. Ovviamente, trasversalmente a tutto questo, occorre valorizzare ed apprezzare la conoscenza tecnica-esperta, che, quando espressa volontariamente, come accaduto nel caso delle vicende del Comparto 32, rappresenta il segno evidente di una comunità vitale, capace di riflettere su se stessa, che chiede di partecipare al pubblico dibattito con il quale si dovrebbero strutturare le scelte per il nostro futuro. Una grande risorsa per Taranto.