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Baia della Magna Graecia: “inutile la riforma senza rilancio sistematico degli ambiti vasti”

Il prossimo 7 aprile saranno passati 11 anni dal declassamento delle Province a Enti di secondo livello.
L’allora Ministro Delrio, con il suo DL56/14, firmò la norma che, pur avendo carattere transitorio, portò il richiamato Ente in un limbo.
Di fatto, si procedette con una nuova riorganizzazione statale che inquadrò gli ambiti terrioriali come Enti d’area vasta. La fredda legge dei numeri, quindi, che aveva caratterizzato il primo ventennio della Seconda Repubblica, prese il sopravvento sugli inquadramenti amministrativi che, fino ad allora, avevano rappresentato il concetto di prossimità dei servizi.
Circa 3 anni fa, poi, un rinnovato dinamismo Parlamentare ha portato alla bozza di un testo normativo sulla reintroduzione dell’Ente Provincia a suffragio universale. Già entro il primo semestre dell’anno in corso, almeno dalle dichiarazioni del leader del Viminale – Ministero dell’Interno, in occasione della 35° assemblea delle Province Italiane UPI, le Province potrebbero tornare ex ante 2014.
Tuttavia, l’operazione, senza una riforma sistemica che analizzi nel dettaglio gli squilibri territoriali attualmente esistenti nei vari ambiti del Paese, potrebbe rivelarsi un boomerang.

“Nuova Provincia: opportunità o caos? Quando l’approssimazione supera la politica

La questione della nuova provincia in terra jonica è emblematica del caos e dell’approssimazione che spesso dominano la scena politica e amministrativa comprensoriale. Due proposte, al momento, si contendono la scena: quella della Magna Graecia, che prevede un doppio capoluogo distribuito tra Crotone e Corigliano Rossano, basata su criteri di omogeneità territoriale e conforme alla legge Delrio (che stabilisce un minimo di 350mila abitanti per le nuove province); e quella della Sibaritide-Pollino, una proposta politica, non conforme a questa legge, che appare più come una mossa tattica in prospettiva di lotte di capoluogo. Il punto cruciale della questione non è tanto la bontà o meno delle proposte, ma il clima di confusione e cambiamento di posizioni che sembra regnare sovrano. Ogni giorno vediamo sindaci, movimenti e rappresentanti della società civile cambiare opinione, apparentemente senza avere un’idea chiara del quadro complessivo o delle implicazioni normative delle loro scelte. Le proposte vengono avanzate senza un confronto serio e approfondito, e spesso manca il necessario rigore per orientare le decisioni verso il miglior interesse delle comunità coinvolte. L’apparenza è che si navighi a vista, rincorrendo opportunismi locali e convenienze politiche più che una visione di lungo termine. Preoccupante, inoltre, è la debolezza di una parte della stampa, che dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di informazione e vigilanza, ma che invece spesso si allinea a posizioni di parte, sacrificando l’analisi critica e l’approfondimento in favore di simpatie politiche o, peggio, legami personali e familiari. Un tale comportamento, quando non si basa su una solida comprensione del quadro normativo e territoriale, tradisce la funzione stessa della stampa e contribuisce a mantenere il dibattito a livelli superficiali.